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05.07.2018

L'inno alla luce traluce
dai trapezi assolati
e prontamente biecamente
sono aspirate le sue note
dai tubi e connessioni
della quotidianità.
Nella vecchiaia sono infine
al nucleo del cartone.
Sfascia oggi e domani
superbo e saggio
scopro il vuoto e allora
scornato deluso dietrofront!
Ho perduto il contenuto
nel tragitto pellegrino?
Rimesto le carte gettate,
le mani fradice degli egoismi,
i legami slegati.
Stava lì il vello?
Gli amori disidratati:
venere in visone o
la venere di stracci di Pistoletto?
Era bella come
il cul della padella,
la schizzinosa.
Padella e Fagiolino
guitti di piazza
popular festosi
per un pubblico sbrindellato,
disperato e ilare.
La panacea ai lutti promiscui:
                 1945?
E noi, lasso lasso,
le macerie
le avremmo proiettate
ai nostri sentimenti.
Bluastri alla Klein,
dipinti dalle riverenze,
chini proni ai no sense.
Ribelli e re-belli
alla sedazione imposta.
Assatanati colpivamo
il passato
e il matamà accoltellato
era il nostro.
I rivoli ciliegini,
frutta fuori stagione,
no era sangue nostro.
E il futuro da noi
tanto agognato
passato prossimo
l'avremmo scoperto.
Dileggio ai padri
espiantati e scorniciati,
le madri scotennate,
ma le martellate,
ai chiodi della croce
sulle dita nostre e non solo,
anche sui coglioni.
I romantici
clonano i mancamenti
noi il nihil del nichilismo,
sperduti
nel deserto rosso.
Noi condannati al dumping,
allo spaccio
di amori sottocosto,
all'impoverimento dell'ormone.
Ecco l'ostia a te,
donna!
Ritorno al telaio
a setacciare
 le ceneri dei caduti
nel pulviscolo dorato
- l'imaginismo -
ma le mie mani, reti bucate,
non trattengono gli effluvi
e gli apostoli canzonieri.


© 2018 Gianfranco Andorno. Tutti i diritti riservati.
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